Nuova Zelanda. 2. Tongariro, Wai-o-tapu, Rotorua, Hobbiton
Il viaggio in automobile tra le campagne della Nuova Zelanda è una continua scoperta. Le colline hanno forme inconsuete e la nebbia accentua il senso di mistero. Non ci siamo ancora abituati alla strana vegetazione, e cerchiamo inutilmente di vedere un pohutukawa in fiore (il tipico albero di natale neozelandese, dovrebbe essere questo il periodo!)
Non siamo immuni al fascino del cinema, e da bravi appassionati di Tolkien siamo qui anche per vedere i luoghi che hanno ispirato la messa in scena dei film del Signore degli Anelli. La prima tappa tra i set è Mordor con il Monte Fato: il Tongariro, un parco nazionale che comprende diversi vulcani, tra cui il monte Ngauruhoe (che è quello che stiamo cercando). Come base scegliamo Rotorua, e prenotiamo in un motel che offre una stanza con la “hot tub”: una vasca all’aperto, in un piccolo patio privato accessibile dalla stanza, riempita di acqua sempre calda da fonte geotermale. Certo non fa l’effetto delle hot tub nelle sconfinate distese ventose in Islanda, ma ce la godiamo.
Per la nostra gita nel parco Tongariro cerchiamo i sentieri che salgono alla caldera vulcanica sotto il monte Ngauruhoe, parte del cosiddetto trekking di Mordor (il Tongariro Alpine Crossing). Dal comodo parcheggio nella Mangatepopo valley – uno dei tanti punti di partenza per le escursioni – parte una passerella di legno sopraelevata e ben tenuta che si snoda tra le rocce vulcaniche e gli acquitrini fino a diventare sentiero, sulle pendici del vulcano, dove è ricoperto di un tappeto di gomma antiscivolo quando non è perfettamente battuto. Le cime dei vulcani sono sacre per i maori, e questo ha aiutato la protezione dell’ambiente che è veramente incontaminato. Incontriamo pochi escursionisti nonostante la facilità del percorso e la bellezza del panorama. Le rocce nere e rosse, i laghetti, i torrenti colorati e la vegetazione grassa e umida piano piano fanno spazio a pendii di polvere lavica sempre più scura e colate nere di eruzioni di anni passati, ben visibili guardandosi intorno. Raggiungiamo la caldera fumante e fangosa tra il Ngauruhoe e il Tongariro, suggestiva e dall’odore non proprio piacevole, e qui ci fermiamo a causa del tempo che sembra peggiorare. Il suolo è caldo e la cima, ci avvisa un cartello, dista ancora diverse ore.
Il giorno successivo lo passiamo a Rotorua nel parco geotermale Wai-o-tapu, una delle attrazioni principali del paese. Tra il geyser Lady Knox, che viene fatto eruttare artificialmente una volta al giorno dopo un’introduzione storica e geologica, i laghi colorati di minerali, le pozze di fango ribollente e la varietà di uccelli richiamati dall’umidità, ci si può trascorrere una mezza giornata.
L’impressione è di un parco ben tenuto pensato per turisti pigri: passerelle lisce e comode, steccati, cartellonistica ben tenuta, spiegazioni didascaliche (ma interessanti). Sicuramente se non avete mai visto qualcosa del genere vale la pena.
Tutto il paese, come risaputo, è terra di vulcani, terremoti, geyser, sorgenti calde, e qui in una piccola area ne vediamo un bell’assortimento.
Per proseguire la visita alle attrazioni turistiche di Rotorua, passiamo un pomeriggio e una serata a Te Puia, un altro parco geotermale che ospita anche il centro di cultura Maori, laboratori artigiani, un’area riservata ai kiwi (gli uccelli), e viene messo in scena uno spettacolo che rappresenta la cerimonia di benvenuto maori, con tanto di haka, costumi e strumenti tipici, seguito da una cena alla maniera locale, cucinata in una buca nella terra sfruttando le temperature altissime.
Te Puia si trova in una valle che ha un nome lunghissimo: Te Whakarewarewatangaoteopetauaawahiao (e come si pronuncia?). Le attrazioni naturali sono simili a quelle di Wai-o-tapu, ma il geyser Pōhutu erutta naturalmente (un paio di volte l’ora). Non mancano le pozze fangose ribollenti, i torrenti, i laghetti colorati. Molto interessante il laboratorio di scultura con le tecniche tradizionali, dove sono impegnati e si possono vedere all’opera diversi studenti di tutto il paese.
Un padiglione è dedicato ai kiwi, gli uccelli simbolo della Nuova Zelanda da cui gli abitanti hanno preso il soprannome. Si tratta di uccelli notturni e in via di estinzione, anche a causa dell’introduzione di mammiferi che se ne sono cibati in quantità. Per (intra)vederli, si può entrare in silenzio e al buio completo negli spazi protetti dai vetri dove vengono tenuti. Il ciclo giorno/notte viene invertito per far sì che il pubblico possa vederli svegli (durante la loro notte), strategia probabilmente utile alla raccolta fondi e alla sensibilizzazione.
Tra le curiosità del paese, tra l’altro, scopriamo che in qualsiasi negozio di souvenir vengono venduti prodotti fabbricati con la pelliccia di opossum: seppure difficile da mandar giù, acquistarli aiuta lo sterminio (!) di queste creature infestanti, importate nell’ottocento, che hanno messo in pericolo i piccoli kiwi, quasi ciechi e che non possono volare. Gli opossum si sono ritrovati velocemente in cima alla catena alimentare, senza essere preda di altri animali, e moltiplicandosi in fretta hanno messo in pericolo numerose specie endemiche neozelandesi oltre ai kiwi. Mangiano qualsiasi cosa, dalle piante, alle uova, ai piccoli animali; diffondono malattie e si stima abbiano provocato danni per decine di milioni di dollari neozelandesi. Insomma, la questione è presa piuttosto sul serio, e oltre ai prodotti in pelliccia di opossum si trovano informazioni persino su come cacciarli o catturarli.
L’ultima tappa del giro nell’Isola del Nord è a Hobbiton: sappiamo che sarà un’americanata ma non resistiamo. Le visite sono organizzatissime, neanche si trattasse di un prezioso sito archeologico. Il set di quella che nella traduzione italiana chiamiamo Hobbiville è stato ricostruito da capo dopo i film (dopo la trilogia de lo Hobbit) per permettere al pubblico di vedere il villaggio così come utilizzato nelle riprese. È in effetti molto ben tenuto e impiega una discreta quantità di persone anche nella manutenzione. Durante la nostra visita ad esempio stanno restaurando il grande albero (l’unico finto) sopra casa Baggins, letteralmente smontandolo foglia per foglia, e alcuni addetti sistemano il tetto di paglia di una casa. Le guide sono divertenti e competenti, ci raccontano simpatici aneddoti che riguardano il periodo in cui si giravano i film, e il giro termina con un boccale di birra hobbit (una artigianale di produzione neozelandese) alla locanda Green Dragon, oltre il laghetto.
Riconosciamo alcuni scorci visti nei film, e i dettagli sono molto curati. L’effetto è davvero realistico. Le casette scavate nella collina (per la maggior parte in realtà hanno solo la porta, senza uno spazio interno) non sono tutte alla stessa scala, questo per permettere durante le riprese la stessa resa con attori di altezza differente.
Nella Contea ricostruita organizzano a richiesta cene a tema hobbit, banchetti nuziali – ma anche veri e propri matrimoni, eventi vari, set fotografici. Eh sì, qui sono bravi a sfruttare ogni piccola attrazione!
Francesca Baliva
Viaggio meno di quanto vorrei. Ovunque vado, cerco animali e paesaggi mozzafiato. Creo colonne sonore e guido volentieri, soprattutto il camper e la bicicletta. Mi piacciono la pioggia, anche in bicicletta; le paludi, i paesini abbandonati, la montagna selvaggia, i vulcani ma soprattutto gli animali più strani. Sono in giro da sempre e cammino per chilometri. Mi piace scrivere l'essenziale e non molto di più.